Milan-Inter, Ibra e Sneijder invertono le tradizioni

MILAN-INTER Curiosa sensazione dell’avvio di stagione: Inter e Milan, a forza di scambiarsi giocatori, si sono scambiati l’anima. Per anni lo abbiamo inserito tra i luoghi comuni nelle chiacchiere d’ascensore: non ci sono più le stagioni di una volta; l’Inter è più forte, il Milan è più bello; i nerazzurri hanno grinta e fisico, i rossoneri la cultura del gioco tramandata dal patriarca Sacchi. Ora l’allenatore più sacchiano del campionato, Benitez, svezzato da vacanze studio a Milanello, educa i nerazzurri al palleggio e al possesso, mentre Allegri ripete che la palla deve viaggiare in fretta in verticale, verso le punte. Revolution. Ancelotti che piantò davanti alla difesa i piedi dolci di Pirlo, dove un tempo regnavano le ruvide pinne di Desailly, era il simbolo di una filosofia. Pirlo più Seedorf e Kakà. Quel centrocampo era una macchina da assist, Inzaghi ne approfittò per entrare nella leggenda. Pippo respirava con la squadra, ne esaltava la bellezza. Ibra è diverso. Lo ha dimostrato a Barcellona: in una squadra troppo bella soffre complessi d’inferiorità. Non riesce a essere il terminale di tanti campioni, ha bisogno di sentirsi il più campione di tutti. Come all’Inter, quando Materazzi gli faceva lanci di 40 metri e Ibra da solo sfidava le difese come al saloon. Come col Genoa su lancio di Pirlo. Segna, allarga le braccia e chiama i compagni: «Venite qua. Visto? Vi faccio vincere». Per far rendere al massimo Ibra, la squadra deve farsi bruttina, rinunciare a un centrocampo d’arte e ragionare in verticale, veloce. Prendere o lasciare. Il Barça preferì lasciare. Si è tenuto stretto il bel gioco di Xavi e Iniesta e si è dotato di un terminale, meno geniale, ma più inzaghiano: Villa. Il Milan invece ha accettato di cambiare per Ibra, anche a costo di rinnegare la sua storia. Ieri Galliani ci ha messo il timbro: «Vogliamo vincere, non siamo al parco divertimenti». Timbro clamoroso perché nella prima ora Berlusconi aveva chiesto altro: vincere, ma non a tutti i costi, solo divertendo. Un luna park, appunto. Un tempo Galliani, parlando di stipendi, spiegò: «Le ballerine costano». Metafora teatrale in linea con la concezione del Milan: soggetto da spettacolo più che sportivo. Oggi, mentre Benitez cerca di far bella l’Inter, il Milan di Ibra medita di rinunciare a Dinho, luna park vivente, e si accontenta degli orizzonti di campo: vincere.

fonte: gazzetta dello sport

la redazione di www.calciomercatonews.com




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