Calciomercato Juventus, Ziliani: “Fra Agnelli, Marotta e Delneri vediamo chi si dimette prima…”

CALCIOMERCATO JUVENTUS ZILIANI AGNELLI MAROTTA DELNERI – Quando Jean Claude Blanc, nell’estate di Calciopoli (2006), poco prima del debutto della Juve in serie B rilasciò la famosa intervista a “Tuttosport” in cui diceva: “Ci vorranno 5 anni prima che la Juventus possa tornare a vincere” – intervista che mandò su tutte le furie il popolo bianconero, abituato a ben altri ritmi nel mietere successi -, disse, a ben guardare, la sola cosa sensata della sua reggenza. La frase, a dire il vero, avrebbe avuto bisogno di un corollario che chiarisse che ci sarebbero voluti 5 anni, certamente, ma a patto di avere le idee chiare sui modi (oltre che sui tempi) della ricostruzione. Invece, i nuovi reggenti John Elkann, Jean Claude Blanc e Giovanni Cobolli Gigli sapevano a malapena che il pallone era rotondo, strategie e mercato vennero affidati a Secco (ex portaborracce di Moggi), poi Blanc si mise in testa l’idea meravigliosa di affidarsi anima e corpo all’art director Marcello Lippi, scambiato per il genio della lampada: ed ecco l’arrivo di Ferrara in panchina, gli acquisti di Cannavaro e Grosso, la profezia lippiana “La Juve vincerà lo scudetto” e la tragicommedia della stagione 2009-2010, con i bianconeri presi a pallate da tutti, fuori dalla Champions League, polverizzati, inceneriti. Morale della favola, la 5^ stagione del dopo-Calciopoli, quella in corso, quella che avrebbe dovuto portare la Juventus a rivincere qualcosa d’importante, si sta concludendo nello stesso avvilente modo della stagione scorsa (unica differenza: al momento è in dubbio anche la qualificazione all’Europa League), con una società e una squadra allo sbando, un allenatore in confusione totale e un’unica certezza: i 5 anni del dopo-Calciopoli sono stati buttati nel water e adesso, per tornare a vincere qualcosa d’importante – diciamo uno scudetto – di anni, a patto di essere non bravi ma bravissimi, e di non sbagliare più una mossa, ne occorreranno almeno altri 3. Il che significa rimandare i festeggiamenti al 2014, e cioè a una vita dall’ultimo cin-cin, quello della Supercoppa italiana conquistata nel 2003 (11 anni senza vincere, se andrà bene).

Insomma: se la responsabilità di questo periodo di vacche magre va in buona parte messa sul conto della Triade, gli spericolati dirigenti che per eccesso di bulimia (di vittorie) finirono col condannare tutti a un lungo digiuno forzato, non c’è dubbio che l’altra metà vada ascritta a totale responsabilità del nuovo management, quello insediatosi ai tempi di Calciopoli. Perché una cosa è certa: peggio di come hanno fatto ieri John Elkan, Blanc, Cobolli Gigli e Secco (con l’aggiunta di Lippi e Ferrara), e oggi Andrea Agnelli e Marotta, era impossibile fare. E ora per la Juventus si fa durissima. Tanto per cominciare, per il secondo anno consecutivo non giocherà la Champions League (con l’ingente danno economico, oltre che d’immagine, che ne consegue) e questo, oltre a impoverirla, la rende club poco appetibile agli occhi dei campioni stranieri che mirano giustamente ad esibirsi su palcoscenici di prestigio. E se qualcuno l’avesse dimenticato, sarà bene ricordare che dall’anno prossimo andare in Champions sarà più difficile: saranno solo 3 (e non 4) le squadre italiane ammesse, e la terza andrà ai preliminari. Insomma, il pericolo di diventare club europeo di periferia, come un Auxerre o un Braga qualsiasi, per la Juventus è reale. Quest’anno, in Europa League, la Juve non è riuscita a battere né Salisburgo né Lech Poznan facendosi eliminare in un girone di qualificazione ridicolo. E allora: se la Juve vuole davvero uscire dalle sabbie mobili in cui, senza accorgersene, sta sprofondando da anni, sotto lo sguardo sbigottito e impotente dei suoi tifosi, è necessario fare punto e a capo, ammettere il fallimento della doppia (abortita) ricostruzione e cominciare a dire le cose come stanno.

Che la Juventus non fosse più se stessa, ma stesse lentamente trasformandosi in una “Chieventus”, noi l’abbiamo scritto in tempi non sospetti, il 2 settembre 2010, 26 giornate di campionato fa (leggi in Scripta Manent l’articolo: “Macchè Juventus, Marotta e Del Neri hanno costruito la Chieventus”). Il mercato condotto da Marotta con l’avallo di Andrea Agnelli ci era sembrato ridicolo e ci stupiva l’entusiasmo che ovunque fioriva attorno alla nuova squadra. Non ci sbagliavamo, ma la cosa adesso conta poco. Oggi, se la Juventus non vuole diventare un’Atalanta o una Sampdoria qualsiasi – con tutto il rispetto per l’Atalanta e la Sampdoria -, deve assolutamente avviare un veloce e impietoso processo di autocoscienza collettiva, riconoscere gli errori commessi, farne tesoro e provare a ripartire senza più ripeterli. Condizione indispensabile: dire (prima di tutto a se stessi) le cose come stanno. E prendersi, ognuno per proprio conto, le colpe dello sfacelo. A cominciare dai tre mammasantissima.

ANDREA AGNELLI. Il suo primo anno da presidente è stato pessimo. Ha scelto Marotta e Del Neri senza sospettare che la Juventus sarebbe diventata, con loro, una Sampdoria vestita di bianconero. Proprio come Blanc, invece di darsi da fare di fronte a una barca che affondava, ha dato il meglio di sé nella stucchevole – e inutile – guerra con l’Inter dello “scudetto perduto”. Come Blanc, un anno fa, aveva provato a precettare Bettega nella speranza di salvare il salvabile, così Agnelli ha provato a precettare Nedved manco fosse la Madonna di Medjugorie. Risultato: sprofondo continuo. Adesso, a 7 mesi dal via della stagione, ha cominciato a raccontare la storiella che il flop 2011 era preventivabile, e che l’importante sarà non trovarsi in questa stessa situazione a fine 2012. L’avesse detto ad agosto, sarebbe stato meglio E i tifosi non si sarebbero sentiti presi in giro.

MAROTTA. Ha fatto peggio di Secco, ed è tutto dire. Perché acquistare a decine di milioni, come ha fatto lui, giocatori scarsi come Martinez e Bonucci (pagati 12 e 15 milioni pronto cassa), per non parlare di Pepe, Motta, Aquilani (tuttora da pagare) e ancora Toni e Barzagli, è impresa da neurodeliri. L’abbiamo già scritto e lo ribadiamo: Bonucci è un bluff assoluto, era meglio Legrottaglie. Contro il Bologna, nelle azioni dei due gol di Di Vaio, il centrale che la Juve ha pagato il doppio di quanto il Milan pagò Kakà, ha fatto la figura del birillo: piantato nel terreno, goffo, legnoso, roba che Barzagli in confronto sembra Nesta. A Bari, un anno fa, Bonucci splendeva di luce riflessa grazie a Ranocchia, che dei due era quello buono (anzi, ottimo). Lontano da una testa pensante, Bonucci si rivela per quel che è: una calamità. Sull’acquisto di Martinez, poi, meglio stendere un velo pietoso. La domanda che tutti si pongono è: con i 27 milioni cash spesi per gli inutili, se non dannosi, Bonucci e Martinez, non si poteva comprare un campione vero? E venendo ai giocatori ingaggiati con la formula del prestito oneroso con riscatto obbligatorio, tolto Quagliarella – che il suo prima dell’infortunio lo stava facendo – che dire di Pepe e Motta, per i quali la Juve dovrà sborsare a breve un’altra ventina di milioni? E che mercato è quello che ti consegna un Aquilani riscattabile solo a 16 milioni, prendere o lasciare (nel suo caso, mancando l’obbligatorietà all’acquisto, non ci sono dubbi: sarà lasciato)? Per non parlare di Matri valutato 18 milioni (una follia, con tutto il rispetto per l’attaccante) e ancora da pagare proprio come Pepe, Motta e Quagliarella? Insomma, la Juve, che certamente non avrà i soldi della Champions League, dovrà investire 40 milioni solo per restare quel che è adesso: una squadraccia senza capo né coda che sbaglia tutti gli acquisti costosi (come Diego e Amauri, subito ceduti in perdita, come Bonucci e Martinez), che ingaggia vecchie cariatidi dallo stipendio pesantissimo (Cannavaro, Grosso, Toni, Barzagli), che si disfa dei giovani più promettenti (Criscito, Giovinco) e ne lancia di scarsissimi, come il povero Soerensen, uno che non giocherebbe titolare nemmeno nell’Albinoleffe.

DEL NERI. Un uomo in confusione ormai sull’orlo di una crisi di nervi (e di sconforto). Un allenatore capace solo di fare il 4-4-2, che fa acquistare esterni (alti e bassi) a bizzeffe e poi spedisce sulle fasce Marchisio, Grygera e Soerensen – che con gli esterni c’entrano come i cavoli a merenda -, per non parlare di Chiellini. Che una vaga idea di come si sta a sinistra ce l’ha, ma dopo anni di militanza come centrale un po’ di bussola l’ha persa. E insomma: smette di essere un ottimo centrale per diventare un mediocre e spaesato esterno di sinistra. Oltretutto, lasciando Bonucci alla deriva.

AUGURI. All’indomani di Juventus-Bologna 0-2, che segue l’inenarrabile Lecce-Juventus 2-0, la situazione in Corso Galileo Ferraris è questa. Ci sono un presidente, un direttore generale e un allenatore che dovrebbero sentire il dovere di dare le dimissioni. Invece il primo se la prende con i giocatori che non s’impegnano, il secondo è già a caccia del nuovo Bonucci e del nuovo Martinez e il terzo è all’angolo, come un pugile suonato, incapace di biascicare una scusa plausibile per lo sfascio montante, ma non c’è nessuno che lanci la spugna per lui, e il gong è ancora terribilmente lontano. Questa è la Juve che si appresta ad affrontare la stagione calcistica 2011-2012 fuori da tutti i giri che contano, come un’Armata Brancaleone degna di miglior causa. Come diceva Flaiano, nessun allarme: la situazione è grave, ma non seria.

Fonte: PaoloZiliani.it

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