Mondiale per Club, Inter, Damascelli: “Perchè i nerazzurri non sanno mai vincere?”

MONDIALE PER CLUB INTER DAMASCELLI – Ma quando guarirà l’Inter? Quando tornerà a essere il favoloso club dei favolosi anni Sessanta? Quando? Vince uno scudetto a 58 punti, record assoluto per quei tempi (vittorie a 2 punti), ma il trionfo del Milan al Camp Nou nella finale di coppa dei campioni sulla Steaua di Bucarest mette in ombra, nel giro di tre giorni, il risultato della squadra di Trapattoni. Vince una champions a Madrid dopo quarantacinque anni di sogni e di attesa e, trascorsi sessanta secondi dal fischio finale, Diego Milito chiede in diretta mondiale un adeguamento del salario, Josè Mourinho si infila nella autovettura del presidente Florentino Perez per andare a definire gli ultimi dettagli del suo nuovo stipendio mentre tre metri sotto il cielo e cinque metri più in là Massimo Moratti e la brigata stanno ballando, urlando, piangendo. Vince la coppa intercontinentale e un minuto dopo Stankovic dice che la panchina nella finale è una ferita aperta, il chirurgo Benitez attacca Moratti e i giocatori, Materazzi elogia la società e se ne infischia delle paturnie dell’allenatore, lui e il resto della comitiva, «quello che fa Benitez non ci riguarda» dice. Totale: come prima, più di prima, liberi tutti, sono saltate di nuovo le marcature, si torna ai tempi belli, anzi mediocri, si torna a uno, nessuno, centomila dove l’ultimo sostantivo è monetario e non pirandelliano. La commedia dell’equivoco si trascina dalla scorsa estate, le vedove di Mourinho non piangono più ma strepitano contro lo spagnolo, ciccione, sudaticcio, senza sangue da vero condottiero. I cortigiani sposano qualunque scelta della società, gli amanti traditi, qualche vecchia gloria e qualche giornalista fra loro, criticano Moratti a prescindere. Improvvisamente l’Inter scopre di avere un vuoto di potere al proprio interno. Il vuoto che era coperto, totalmente, da Mourinho, allenatore, manager, dirigente, compagno di squadra, uomo di spogliatoio, capotifoso, responsabile della comunicazione, direttore dell’immagine, coordinatore politico, uomo di mercato. Partito lo special one non si segnalano altri speciali e specialisti dei settori succitati, anzi anche a Oriali Gabriele è stato consegnata la lettera di liquidazione. Il resto è la solita musica, parlano in molti, a volte troppi, decide uno solo, per fortuna, anche se il presidente spesso si fa condizionare dagli amori e dagli umori più che da un progetto definitivo. Rafael Benitez sapeva benissimo quale sarebbe stato il suo cammino milanese. Senza essere blasfemi per il popolo dei fedeli, lo spagnolo è Benedetto XVI che è pontefice ma è arrivato dopo Giovanni Paolo II che è stato il pontefice massimo. Poi l’allenatore di Madrid ci ha messo del suo, sbagliando alcune scelte e, dunque, alcune partite chiave (leggi Tottenham) ma i calciatori non lo hanno certo aiutato tra infortuni, crisi di affetto e di nostalgia. Il caso è chiuso, Benitez va considerato l’ex allenatore dell’Inter, il quindicesimo degli ultimi quindici anni, gli anni di Massimo Moratti alla presidenza. Non può essere soltanto una coincidenza.

Fonte: Il Giornale

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