INCHIESTA – Il business delle maglie nel calcio: ricavi, prezzi e retroscena

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Nella grande maggioranza dei casi, per qualsiasi tifoso, indossare la maglia della propria squadra del cuore significa fare parte di una grande famiglia, legata a storia, valori, colori sociali e logo ben precisi. Per fare in modo che l’ingente massa di adepti si identifichi totalmente nel marchio di un club, per le società non c’è niente di meglio che puntare sulle classiche magliette: sia al fine di fidelizzare i supporters sia per incrementare il guadagno legato alla voce merchandising.

UN BUSINESS DA CAPOGIRO – Maglia da calcio fa rima con sponsor tecnico. Ogni club ha infatti accordi più o meno milionari con griffe sportive capaci di riempire di soldi le casse societarie. E Nike e Adidas sono soltanto la punta dell’iceberg, quella maggiormente rinomata. Giusto per rendere l’idea, nel luglio scorso Adidas ha firmato un incredibile contratto decennale con il Manchester United: dalla stagione 2015/2016 i Red Devils abbandoneranno Nike per passare alla concorrenza. Il motivo? Questione di soldi visto che il marchio a tre strisce offrirà ai Diavoli Rossi la bellezza di 940 milioni di euro in 10 anni: quasi 100 a stagione ovvero circa il triplo di quanto versato dal vecchio sponsor tecnico. Ma a guadagnarci non sarà soltanto lo United perché Adidas ha calcolato un rientro di marketing potenziale conseguente all’accordo di più o meno 2 miliardi di euro. In questo modo si può attivare un processo pressoché infinito. Lo sponsor tecnico investe su una società di calcio; questa, grazie ai nomi dei campioni in rosa e al brand ormai rinomato, riesce a ripagare l’accordo preso con il marchio sportivo moltiplicandone in maniera esorbitante i ricavi grazie alla vendita di ingenti quantità di magliette. Facile immaginare che, grazie a entrate simili, certe squadre possano (e debbano) comprare stelle di livello assoluto per incrementare il meccanismo attingendo ai ricavi provenienti dalla sponsorizzazione. Ecco un esempio concreto di quanto stiamo affermando. Quando a luglio il Real Madrid acquistò James Rodriguez Perez versò al Monaco 80 milioni di euro: dopo pochi giorni dall’ufficialità i tifosi acquistarono la bellezza di 350 mila camisetas madrilene con il nome del colombiano facendo incassare alle Merengues 33 milioni di euro. Tutto questo non può che aver fatto gongolare Adidas, sponsor tecnico dei Blancos, società, (che si è vista attutire la spesa dalla vendita in massa di divise), e tifoseria (che può coccolarsi e ammirare l’ennesimo campione). E non c’è soltanto James perché come sappiamo il Real Madrid è squadra stra colma di campioni: da Cristiano Ronaldo a Bale, da Benzema a Isco, le stelle della galassia madrilena sono infinite. In Germania troviamo invece il colosso Bayern Monaco, anch’esso sponsorizzato Adidas: i bavaresi nella scorsa stagione sono riusciti a vendere 1,3 milioni di magliette cioè più di tutti gli altri club di Bundesliga messi insieme totalizzando un rientro economico di tutto rispetto. A questo punto risulta facile intuire il perché di un peso sempre maggiore in chiave calciomercato degli sponsor tecnici i quali cercano di costruire un connubio, una simbiosi tra il loro brand e il nome di un campione: insomma, una sponsorizzazione nella sponsorizzazione.

IN ITALIA? – In Italia al momento non esiste niente di tutto questo per più motivi. Non soltanto a causa degli stadi vuoti che impediscono una totale sovrapposizione tra il pathos dei tifosi e il marchio della squadra del cuore – basti pensare a una gara qualsiasi dell’Ateltico Madrid in cui la maggior parte del pubblico del Vicente Calderon va allo stadio con indosso la camiseta rigorosamente originale dei Colchoneros – ma anche per la piaga della contraffazione. All’esterno degli impianti sportivi più importanti d’Italia sono comunissime quelle bancarelle che vendono maglie false a un prezzo che può oscillare dai 10 ai 20 euro: meno della metà della cifra media dell’originale che si aggira intorno agli 80. Come reagiscono i club nostrani? Invece di puntare sugli store e rafforzare il legame tra marchio e tifoseria, sembra che in Serie A si segua una strategia deleteria. Si vendono poche maglie? Aumentiamone il prezzo. Una scelta simile è applicata anche al di fuori dell’Italia ma negli altri paesi d’Europa, grazie ai numerosi top players presenti nei club più importanti, i tifosi sono disposti a spendere di più pur di acquistare la divisa della propria squadra del cuore perché un Cristiano Ronaldo attira più di, con tutto il rispetto, di un Destro o Palacio qualsiasi.

IL PREZZO DELLE MAGLIE – La Serie A è il fanalino di coda per quanto concerne il numero di maglie vendute se confrontata con i dati di Premier League, Liga, Ligue 1 e Bundesliga. Perché? ‘Metterei tra i motivi la mancanza di top players, la presenza ancora rilevante di merchandising non ufficiale, politiche di promozione da parte dei club che sono sicuramente da migliorare e il prezzo medio della maglia replica, tra i più cari in Europa nonostante il potere di acquisto degli italiani sia inferiore rispetto a quello di tedeschi e inglesi‘. A fotografare questo desolante scenario è stato Marco Nazzari, Managing Director di Repucom Italia, in un’intervista rilasciata a Sport Business Managment. Uno dei punti focali sta proprio nel prezzo della maglia che nel nostro paese è mediamente più alto di quello che si può trovare in altre realtà europee per quanto concerne i club più rinomati. Nell’annata 2011/2012 i tifosi italiani che volevano indossare la casacca della propria squadra del cuore sono stati ben più sfortunati dei loro colleghi inglesi. Già perché i primi, per assecondare il loro desiderio, hanno dovuto spendere una media di 71,40 euro – con un incremento del 2,40% rispetto al 2009/2010 – contro gli appena 49,80 estratti dai secondi. Tornando ai giorni nostri, per il tifoso medio è più naturale spendere circa 80 euro per divise di squadre quali Real Madrid, Barcellona e Psg piuttosto che per club come Milan o Inter: il prezzo del kit è alto ma il brand della società e i campioni in rosa ripagano il sacrificio. In un panorama simile c’è anche chi ha scelto un’altra pista: è il caso della Lazio che non avendo in rosa stelle assolute ha preferito puntare sul senso di appartenenza dei tifosi piuttosto che sul calciatore top. Non è tanto il nome del campione a spingere l’appassionato ad acquistare la divisa ma la tradizione, la storia del kit marchiato con l’Aquila storica. Ecco spiegata la strategia della società biancoceleste di riproporre una versione storica della maglia che, in poco tempo, ha registrato incassi elevati. Al fine di inquadrare meglio la situazione odierna ecco a quanto ammontava il prezzo dei kit gara da adulto delle squadre di Serie A a inizio stagione:

Atalanta 75
Cagliari 80
Cesena 70
Chievo 67
Empoli 50
Fiorentina 70
Genoa 75
Hellas Verona 75
Inter 85
Juventus 85
Lazio 82
Milan 82
Napoli 82
Palermo 60
Parma ND
Roma 86
Sampdoria 80
Sassuolo 75
Torino 80
Udinese 50

(Dati raccolti dai siti ufficiali dei rispettivi club; il prezzo é da considerarsi in euro. Per kit gara si intende la prima maglia, senza calzettoni né pantaloncini)

IL CONFRONTO – Allarghiamo ora la nostra ricerca oltre i confini italici. In Premier League la divisa del Chelsea costava a inizio stagione 75 euro quella del Manchester United 66 mentre Liverpool e Arsenal applicavano un prezzo di circa 50£ (più o meno 70 euro). Per quanto concerne squadre di medio blasone ecco alcuni valori. Il kit home dell’Aston Villa costava 48£ (poco più di 60 euro), quello dell’Hull City 42, del QPR 44 e così via su valori simili. La situazione diventa quanto mai interessante in questo periodo, quando il campionato in corso si avvia verso la conclusione e gli store, online e non, applicano sconti su tutto il merchandising. Non è infatti difficile imbattersi in kit il cui prezzo oscilla tra i 30 e i 50£. Insomma, i club inglesi hanno trovato il giusto modus operandi in chiave marketing.
In Liga la camiseta del Real Madrid tocca gli 85 euro, quella del Barcellona 86; Valencia e Atletico Madrid si fermano rispettivamente a 80 e 81; in Bundesliga la casacca del Bayern oscilla tra i 55 euro della ‘Home Shirt’ e i 69,95 della ‘Shirt Away’ mentre il Borussia Dortmund offre la sua divisa a maniche corte al prezzo di 80 euro. Infine, in Ligue 1, la divisa del Psg costa 85 euro quella di Marsiglia e Lione, 80. Come si può vedere, per quanto riguarda le maglie delle grande squadre, i prezzi esteri sono mediamente più bassi di quelli italiani con differenze sostanziali a seconda di variabili quali paese, importanza della squadra e sponsor tecnico. In Inghilterra c’è un marketing cucito a misura di tifoso mentre in Francia, Spagna e Germania sembra che ci sia maggiore carico fiscale verso le eccellenze con un netto calo nei confronti di società di medio basso blasone.

LE SOLUZIONI – L’Italia ha di fronte a sé due strade per incrementare i ricavi provenienti dalla vendita delle divise che, come abbiamo visto, possono fare la differenza. O le società più importanti tornano ad acquistare quei grandi campioni – che fanno rima con grandi nomi – oppure l’intero calcio italiano deve ripensare a un modello di vendita completamente diverso proponendo prezzi più accessibili e maggiori occasioni d’incontro con i tifosi.

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